Chi siamo

Nata dalla passione di due amici, Franco Monaco ed Alfonso Rosmino, che per oltre un decennio hanno raccolto una mole impressionante di fotografie e di documenti, l’Associazione “Storia Locale San Prisco” ha lo scopo di valorizzare il patrimonio storico, culturale e naturalistico di San Prisco (CE) e del Monte Tifata e di riscoprire le tradizioni popolari dalle origini fino ai nostri giorni.

Per il perseguimento dei propri scopi, l’Associazione ha messo a punto un progetto denominato “Università di Santo Prisco” (dal nome che la comunità locale ha avuto fino al codice napoleonico del ‘700) che prevede la creazione e la istituzione di un archivio storico locale, composto da pubblicazioni, documenti, fotografie, e la organizzazione di mostre, convegni, dibattiti ed attività didattiche.

Dal 2003, anno di nascita del progetto, ha già curato e predisposto pubblicazioni e quaderni di ricerca, mostre fotografica e, ogni anno, un calendario a tema con foto storiche.

Ha sede nella settecentesca Torre dell’Orologio, presso la quale è stata allestita una mostra fotografica permanente e può essere consultato il materiale già reperito.

L’Associazione non ha scopo di lucro né finalità politiche.

L’Associazione “Storia Locale San Prisco” rappresenta una continuazione dello spirito e delle motivazioni della precedente Associazione Ambiente Tifata.

Quest’ultima nasce nel 1988 con la finalità di perseguire la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio naturalistico e culturale del territorio di San Prisco e del Monte Tifata. Fin dall’inizio ha ritenuto di dover puntare sulle nuove generazioni, non ancora inquinate dal consumismo e dal benessere a tutti i costi. Numerose sono state le iniziative che, negli anni, sono  state condotte coinvolgendo gli alunni delle scuole dell’obbligo.

   

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Le attività

Nel 1989 è stato avviato un progetto che aveva come finalità il rimboschimento della località “Bersaglio”, alle falde del monte Tifata. Il progetto prevedeva il coinvolgimento degli alunni delle scuole elementari per la generazione in proprio delle essenze da collocare a dimora, selezionate dopo un attento studio sulla flora originaria. Nel cortile del plesso “M.Polo”, fu installato un vero e proprio vivaio didattico dove, in sinergica collaborazione con la Direzione Didattica e con gli insegnanti, gli alunni delle scuole elementari si sono alternati, sotto la guida dei nostri esperti e lo sguardo attento degli insegnanti, nella semina, nel travaso, nell’irrigazione ecc., dimostrando un entusiasmo e una sensibilità straordinaria. Dal 1990 al 1992 sono state generate oltre 6000 piantine. Dal 1993 è iniziata la messa a dimora in montagna: nel 1995 erano state piantumate oltre 3000 unità. A causa dell’interruzione dei lavori di piantumazione, per motivi di sicurezza legati al ridotto spazio a disposizione, sono state interrotte le attività di vivaio.
Dal 1997 è stato adottato il progetto “Università di Santo Prisco”, ideato da Alfonso Rosmino, finalizzato alla riscoperta e alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale del territorio di San Prisco e del Monte Tifata.

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L’Associazione nel contesto sociale

Il numero esiguo dei soci (circa una ventina) e la mancanza di sovvenzioni hanno reso sempre difficile la sopravvivenza dell’Associazione. Le attività sociali vengono finanziate e sostenute direttamente dai soci oppure mediante iniziative finalizzate al reperimento di fondi per finalità specifiche. E’ stata una scelta specifica e determinata quella di perseguire fattivamente finalità sociali e culturali, lontano dal sistema politico e da interessi partitici. E’ aperta a tutte le persone disponibili ad attività esclusivamente culturali e naturalistiche, senza distinzione di sesso, nazionalità e credo politico o religioso

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A spasso per il Tifata

La scalata al Monte Tifata é sempre stata un motivo di orgoglio. L’imponenza della montagna e il percorso non privo di difficoltà e di fatica rendono emozionante ogni partenza e appagante ogni ritorno.
Agli abitanti di San Prisco che non possono esibire quell’ io ci sono stato,  quando si racconta la bellezza paesaggistica dei due versanti, l’aria fine e salubre, i resti archeologici, la natura incontaminata, il senso di pace per l’assenza dei rumori della civiltà, mi piace suggerire alcuni itinerari e osservazioni, frutto di un frequente girovagare per le nostre colline. Una tappa quasi obbligata e fulcro di ogni escursione è la località Bersaglio, demanio comunale, un tempo poligono di tiro per esercitazioni militari, attualmente oggetto di rimboschimento e di recupero ambientale. Vi si giunge percorrendo la strada che passa a fianco del cimitero di San Prisco e proseguendo fino all’altezza della masseria Schettini, per una strada alquanto stretta. In alternativa si può prendere la strada che porta alla cava Statuto, esempio eclatante di dissesto ambientale, e imboccare la strada all’altezza dei serbatoi dell’acquedotto della Campania Occidentale che porta alla Masseria Schettini. In entrambi i percorsi sono in bella evidenza cumuli di rifiuti, significativo esempio di inciviltà e di incuria.
Dall’incrocio presso la Masseria Schettini si prosegue per una strada rurale, piuttosto stretta ma ancora in buone condizioni, e si arriva in località Bersaglio,  dove si apprezza meglio l’imponenza del monte Tifata e si riscontra una più diversificata vegetazione che ha nella ginestra e nel mirto la più ampia rappresentanza. Proseguendo verso est si può seguire un piccolo sentiero, adiacente un bosco di roverelle (un tipo di quercia), che si inerpica lungo una gola incrociando verdi terrazzi, fino a giungere sul pianoro chiamato “Montanina”, un tempo meta di scampagnate il giorno di pasquetta.

Attraversando il pianoro si giunge alla punta della collina “Croce Santa” (m. 291), a strapiombo sulla cava Statuto, dove un tempo era collocata una grande statua in marmo della Madonna e dove si può osservare l’ormai esiguo diaframma di calcare che divide la cava Statuto dalla cava Iodice, ancora attiva. Da qui si ha una buona vista della cittadina di San Prisco e particolarmente suggestivo è lo sparo dei fuochi d’artificio in onore di S.Ciro il giorno di pasquetta. Un comodo sentiero pianeggiante diretto a nord, conduce attraverso un piccolo bosco di pini alle pendice del monte Sommacco (m.392) dove il sentiero si stringe e comincia a salire. Proseguendo si aggira la cima del monte Marmolelle (m. 411) e ci si inoltra in un fitto bosco di lecci (un tipo di quercia sempreverde) che popolano tutto il versante settentrionale del Tifata.

Si esce dal bosco per proseguire lungo il crinale fino alla cima del monte Tifata (m. 603). Qui si ammira un panorama incantevole: a nord, le piane di S. Vito e della Fagianeria attraversate dalle sinuose anse del fiume Volturno; a sud l’intera pianura di Terra di Lavoro con, in lontananza, il Vesuvio, Monte Faito e le isole di Capri e Ischia.

L’aria É frizzante e penetra agevolmente nei polmoni; in lontananza si intravedono veicoli in movimento ma non se ne percepisce il rumore; si sente distintamente il profumo di menta, di salvia e di origano ed è possibile scorgere ramarri (grandi lucertole verdi) e macaoni (bellissime farfalle di grosse dimensioni di colore giallo-nero e con due cerchi rossi alla base delle ali).

Antichi resti di imponenti mura di fortificazione testimoniano la posizione altamente strategica di questo sito. Vale la pena proseguire per poche centinaia di metri e visitare i  resti della Cappella di San Nicola, probabilmente sorta sulla cappella di S. Agata, la Santa eremita che aveva elevato il monte Tifata a luogo di preghiera e meditazione.

Il più agevole ritorno si presta ad una più attenta osservazione della vegetazione, della fauna e del paesaggio.

  A chi non intende cimentarsi con le difficoltà del percorso (di livello medio), si consiglia un itinerario alternativo, di carattere storico, archeologico, naturalistico: partendo sempre dall’ex poligono di tiro, si sale all’esterno lungo la recinzione dell’area rimboschita; dopo 200-300 metri si devia verso ovest e, in corrispondenza di un piccolo tumulo, si può osservare una struttura a forma ellittica, probabilmente edificio di una villa romana dell’età imperiale, come testimoniano alcuni anfratti sparsi intorno, la struttura delle pareti ad “opus reticulatum”, pezzi di mosaico e alcune cisterne nelle vicinanze col tipico intonaco a cocciopesto, una malta impermeabilizzante composta da gesso e piccoli frammenti di terracotta. Del resto non è difficile immaginare che le pendici meridionali del monte Tifata costituissero la zona residenziale di una città romana come Capua (l’attuale S. Maria C.V.), per estensione quattro volte più grande di Pompei e sicuramente molto più ricca. Proseguendo verso ovest si sale attraversando un canalone scavato dalle acque piovane. Si arriva sopra un pianoro dove si possono ammirare i resti di alcune fortificazioni militari che dominano tutta la pianura sottostante. Qui, come racconta Tito Livio, Annibale insediò gli accampamenti prima dell’assedio di Capua. L’assedio non avvenne perché la città si assoggettò senza combattere.
Proseguendo sempre verso ovest ma in discesa, si possono incontrare delle grotte naturali, evidente esempio di fenomeni carsici, dove é possibile scorgere delle formazioni di stalattiti e stalagmiti. All’altezza della recinzione dell’ex tenuta Schiavone, in una antica cava di pietra, scavata nella parete della roccia, si può ammirare una bellissima Edicola votiva che un liberto (schiavo alienato) commissionò in onore dell’antico signore, probabilmente un alto magistrato di Capua di nome Caio Vezio Felice. Si tratta di un monumento tra i più belli e suggestivi per la sua semplicità ed eleganza.

Sulla via del ritorno, nei pressi della masseria del Colonnello, all’interno dell’ex tenuta Schiavone, si intravede un edificio monumentale, probabile tomba di un’alta carica militare. Il ritorno in località “Bersaglio” avviene per un sentiero agevole e pianeggiante.

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Una proposta per il Tifata

La storia del Tifata, lunga 20 milioni di anni, ha notevolmente condizionato la vita degli abitanti della valle su cui si erge. La parte pedemontana meridionale occupa una felice posizione geografica, protetta dai venti freddi provenienti dal vicino Matese. Inoltre la tipica composizione litologica (tufo sovrapposto a calcare) è particolarmente favorevole per la rigogliosità dei pascoli e per lo sviluppo della flora in generale.

Per tali motivi, strettamente legati alla salubrità dell’aria, il territorio dove attualmente si colloca San Prisco, è sempre stato oggetto di nuovi e continui insediamenti.

Numerosi e importanti reperti  storici e archeologici, stanno a testimoniare:

  • la presenza degli Etruschi nel IV secolo A.C.;
  • un ricco insediamento residenziale della vicina Capua all’epoca della Roma imperiale;
  • una continua evoluzione di agglomerati di case e capanne, più  volte distrutti dalle invasioni barbariche, e poi ricostruiti, nel periodo medioevale.

Si ritiene che la costruzione della famosa Reggia di Caserta fosse prevista in questa zona, ma la presenza di un agglomerato urbano ne determinò la dislocazione a pochi chilometri di distanza.

La presenza e l’intervento dell’uomo nel territorio Tifatino ha inevitabilmente alterato l’equilibrio ecologico che la natura ha pazientemente costruito in molti secoli.

Infatti un fitto bosco di lecci, che ricopriva il versante meridionale del Tifata, ospitava fino a qualche secolo fa molte specie animali, come il cervo, il capriolo, la volpe, il cinghiale ecc., costituendo un ecosistema tra i più complessi e interessanti che si trovassero in natura.

L’esigenza di avere a disposizione sempre più pascoli e terreno da coltivare, dettata da necessità economiche e di sopravvivenza, ha portato al disboscamento graduale della zona pianeggiante.

Il successivo taglio, spesso indiscriminato, di alberi per uso domestico ha ulteriormente sfoltito l’originaria selva. I frequenti incendi, spesso causati dall’incuria dell’uomo, hanno determinato un quasi completo degrado, sia dal punto di vista faunistico che vegetale, con conseguenze gravi nell’ecologia e nell’assetto del territorio.

Forme di flora mediterranea, sopravvissute al degrado o ricostituitesi spontaneamente, stanno ad indicare che l’ipotesi di un recupero ecologico-ambientale dell’intero versante meridionale del Tifata, è quantomeno proponibile.

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